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									Hans Christian Andersen (1805-1875) 
									
									
									 
									 
      Il famoso scrittore di favole, il danese Hans 
									Christian Andersen (1805-1875) compie un 
									viaggio in Italia nel 1834, durante il quale 
									visita Napoli, Pompei ed Ercolano (dopo aver 
									assistito con gioia all’eruzione del 
									Vesuvio), e, quindi, parte alla volta di 
									Salerno. Visitata la città ed i vicini scavi 
									di Paestum, la mattina di mercoledì cinque 
									marzo, si reca, con i suoi compagni di 
									viaggio ad Amalfi, via mare, come registra 
									nel suo Diario, da cui sono tratte le 
									note di viaggio. Durante i giorni trascorsi 
									in costiera amalfitana Andersen esegue 
									alcuni disegni di cui, almeno cinque 
									rappresentano il convento dei Cappuccini e 
									la vicina grotta. Alcuni mostrano la città 
									dall’alto della roccia nel quale si apre la 
									caverna fino al mare, dove la costa 
									scogliosa accoglie e protegge una piccola 
									baia dalla riva sabbiosa. In uno schizzo si 
									vede con chiarezza il convento, la montagna 
									su cui sorge, la grotta ed il ripido 
									sentiero di accesso scavato nella roccia. 
									Altri due disegni rappresentano alcuni 
									dettagli della Caverna scavata nella roccia 
									sopra Amalfi. Spesso nei racconti di 
									Andersen ricorrono immagini tratte dalla sua 
									permanenza in costiera: a partire dalle 
									persone incontrate, soprattutto quei 
									“ragazzini meravigliosi mezzi nudi” come 
									quell’“Alfonso” ricordato nel diario di 
									viaggio in Italia e rincontrato nel capitolo
									L’avventura ad Amalfi del suo romanzo
									L’improvvisatore (1835), in cui il 
									protagonista difende la castità di una 
									giovane contadina amalfitana.  | 
								
								
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									5 marzo 
									1834 
									
									
									     
									Dei sei rematori, quattro erano fratelli, un 
									bellissimo bambino stava accovacciato al 
									timone; era tutto da dipingere, la 
									posizione, il visetto, una vera delizia.  
									Si chiamava Alfonso. L’acqua era come un 
									vetro verde, il sole bruciava come il fuoco. 
									Come appariva bella Salerno vista dal mare 
									mentre nel mattino sereno ci allontanavamo 
									in barca dalla riva; l’acqua era verde come 
									il vetro.  
									L’intera costa sulla destra era un 
									susseguirsi di imponenti giardini pensili 
									creati dalla fantasia dell’audace 
									Semiramide. Lungo il mare le profonde 
									caverne che si aprivano nella roccia 
									sembravano arcate di un porticato dove i 
									lunghi i lunghi marosi sostavano a giocare.
									 
									Sulla cima prominente della montagna apparve 
									una fortezza che una nuvola sfiorò 
									galleggiando sotto il suo muro di cinta. 
									Vedemmo Maiori e Minori e subito dopo la 
									città natale di Masaniello e di Flavio 
									Gioia, Amalfi, occhieggiante tra verdi 
									vigneti.  
									Mi sentii sopraffatto da quella tremenda 
									bellezza. Oh! Se tutti i popoli del mondo 
									potessero contemplare tale bellezza.  
									Da settentrione e da occidente non giungono 
									mai tempeste a portare il freddo inverno su 
									questo giardino perennemente in fiore, sulle 
									cui terrazze si adagia la città di Amalfi.
									 
									Soltanto da oriente e dal sud arrivano dalle 
									terre degli aranci e delle palme, al di là 
									del bellissimo mare, le tiepide brezze.  
									Dalla riva del mare le bianche case della 
									città coi loro tetti orientali si 
									arrampicano sul fianco della montagna; 
									ancora più in alto salgono i vigneti; un 
									pino solitario apre il suo verde ombrello 
									nell’aria azzurra e sulla costa del monte 
									l’antica fortezza cinta di mura invita le 
									nuvole a sostare. In alto a sinistra, di 
									fronte ad una profonda caverna naturale, 
									domina sulla città un grande e magnifico 
									monastero dove sostano tutti gli stranieri; 
									ci salimmo a piedi lungo il sentiero scavato 
									nella roccia; molto lontano, sotto i nostri 
									occhi, si stendeva l’azzurro mare 
									trasparente. Arrivati che fummo alla porta 
									del monastero, ci trovammo di fronte 
									 
									  
									 
									alla bocca spalancata della profonda 
									caverna; vi scorgemmo il Salvatore e i due 
									ladroni inchiodati su tre croci, e sulle 
									loro teste, fissati ai blocchi della roccia, 
									c’erano degli angeli in ginocchio, non era 
									certamente opera d’arte, ma un cuore pio e 
									pieno di fede ha infuso una sua ingenua 
									bellezza di quelle immagini rudimentali.
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     Ci piacque tanto, che decidemmo di restare fino 
									all’indomani. Era tutto un quadro. Il mare 
									sconfinato e i pescatori con le canne  da 
									pesca immobili  su un grande masso di 
									pietra; passeggiammo sull’ampia terrazza 
									davanti alla locanda, ma il bianco accecante 
									ci feriva gli occhi. All’inizio della 
									gradinata che conduce al monastero 
									incontrammo delle distinte viaggiatrici 
									trasportate in portantine. Nel ridiscendere 
									in basso, attraversammo una parte della 
									città in cui le case sono accatastate in 
									modo stranissimo. Le viuzze serpeggiavano 
									tra le case e s’intrecciavano tra loro. 
									Passaggi stretti e buoi si aprivano nei muri 
									e foravano le case. 
									
									6 marzo 1834 
									
									
									     
									Dopo colazione visitammo Maiori e Minori, 
									vicinissime ad Amalfi e anch’esse in 
									splendida posizione. Sulla roccia crescono 
									le agavi; i bambini in camiciole giocavano 
									sulla spiaggia. Incontrammo una quantità 
									spaventosa di preti. Vedemmo la nostra guida 
									e tutti i bambini inginocchiarsi al 
									passaggio del vescovo. Nella meravigliosa 
									sera mi sedetti sulla terrazza, pescatori e 
									bambini sulla spiaggia cantavano una specie 
									di salmo, con voci sonore. Durante il pranzo 
									Zeuthen si ubriacò ed abbracciò Carlstedt. 
									Hertz gli disse: “Non lo avrebbe fatto se 
									fosse stato sobrio!”. Hertz ed io giocavamo 
									coi monelli e buttavamo una pietra in un 
									buco. Di ciò loro si rallegravano molto e 
									ottenevano da noi uno scellino. Visitammo la 
									grande fabbrica dei maccheroni: la pasta 
									veniva pressata e un bambino ci sventolava 
									sopra; erano in molti a lavorare lì dentro. 
									Verso sera il mare diventò rosso-rosa, le 
									barche venivano tirate in secco sulla 
									spiaggia e intorno a me, sulla terrazza 
									bianca, iniziò un volo di pipistrelli. A 
									tavola Hertz e gli altri erano come ebbri di 
									gioia. Il vino era traditore. Il mare si 
									frangeva in alti marosi contro gli scogli e 
									mi dava la buona notte.  |