Chi ha
percorso la costa del mare, da Salerno ad
Amalfi, ricorderà con gioia quella sponda.
Non vi è niente di più bello nei paesi
napoletani. Di tutte le passeggiate che feci
in Italia è quella che mi lasciò il ricordo
più vivo. La strada costeggia la riva, molto
in alto, dato che sale lungo la costa come
una spirale. A destra si elevano le cime
montagnose e, fra queste, si stendono valli
verdeggianti con molti paesi, al di sotto è
il mare azzurro e, guardando lontano,
l’occhio si posa sulle onde marine, su
Paestum e le montagne calabresi fino a capo
Licosa, dove la costa fa costa fa una svolta
dopo il golfo di Policastro e si nasconde
per poi sparire.
Il primo paese
su questa strada è vicino Salerno e si
chiama Vietri. La posizione di questa
cittadina mi ricordò Tivoli. Vi è tagliata
una profonda e gigantesca gola, nella quale
si precipita un corso d’acqua che alimenta
molti mulini. Vietri si trovo sull’orlo,
bizzarra con le sue case color marrone con
chiese, cappelle a cupola. Molto in basso,
sulla bianca spiaggia si vede la marina con
barche a vela. Quasi ognuna di queste
località, che si elevano così in alto sopra
il mare, possiede un suo porticciolo. Vi si
svolgevano placide scene di pescatori che
sono più belle in natura che su tela. E
quando si guarda dagli scogli nelle onde
verde smeraldo, le barche vi sembrano
sospese come sull’aria. Il vedere tante
torri sul mare e tante fortezze sulla cima
delle rocce sveglia i ricordi e fa pensare
ai tempi dei Normanni quando fondarono su
queste regioni il loro singolare regno,
avvenimento rilevante nella storia della
cultura, che ebbe ripercussioni in oriente
come in occidente…
Ma ora siamo
giunti a Cetara, sulla costa, una località
incantevole, una oasi fruttifera elisia in
mezzo alla ruvida massa di montagne
rocciose. |
Notai subito
la pittoresca architettura moresca. Le case
sono piccole, ad un piano solo, provvedute
di logge e verande alle quali si arrampicano
le viti. I tetti sono a volte e intonacati
di nero. La bizzarra architettura delle
chiesette risalta fantasticamente dallo
scuro fogliame degli aranci. Era una vista
così singolare che si poteva credere di
essere a Kairwan in mezzo ad una civiltà non
europea. Tutto sfavillava dello splendore
del sole, dai frutti dorati ai fiori
esotici. Le bianche case con le loro verande
erano come avvolte in una rete di verde
lussureggiante. Nessuna traccia di
sporcizia, tutto era pulito e grazioso come
le arance, i carrubi e le more e di
carattere esotico come il cacto a spine,
coperto di fiori e gli altri arbusti di
aloe. La bella Cetara fu il primo luogo su
questa costa dove si stabilirono i Saraceni,
per fondare poi colonie fino ad Amalfi,
passando per Maiori e Minori e fino a Scala
e Ravello… Si fissarono di nuovo a Cetara
nel 880, e, nello stesso anno la repubblica
di Napoli donò loro un territorio sul Sebeto;
si stabilirono anche ai piedi del Vesuvio,
nelle contrade classiche di Pompei ed infine
anche vicino al Garigliano da dove
percorsero tutta la Campania. Nelle
vicinanze di Paestum fondarono la loro
colonia ad Agropoli. Non abbandonarono
quelle regioni nemmeno ai tempi del dominio
normanno. Molti erano diventati cristiani,
altri rimasero al servizio di Ruggero, e
così portarono nel paese di Salerno costumi
e cultura orientali. Il nome stesso di
Cetara sembra Arabo e rassomiglia a
chitarra.
Il sole
bruciava già forte sulle rocce nude lungo le
quali continuavamo a camminare di buon
passo, e la strada era ancora lunga fino ad
Amalfi. Da qui la costa diventa sempre più
bella. Sommità montagnose che sembrano
raggiungere le nuvole si elevano ripide; il
loro color rossastro, nella luce
risplendente del sole che rendeva sempre più
azzurro il mare ai nostri piedi, contrastava
meravigliosamente con il cielo e le onde
marine. Su alcune cime montagnose si elevano
le rovine nerastre di antichi castelli del
periodo normanno che un tempo proteggevano
le località che si trovano sotto i monti. Al
fondo scorgevamo, in mezzo ad un silenzio
incantevole, nascoste fra i giardini ed
appoggiate ai monti, Maiori e Minori,
cittadine simili alla moresca Cetara.
La spiaggia
vicino a Minori e Maiori è la cosa più
squisita che ci offrano le sponde del Golfo
di Salerno, Amalfi e Sorrento, e, a rischio
di essere accusato di eresia dirò
arditamente che la loro posizione è di gran
lunga più bella di quella di Sorrento. In
nessun luogo vidi località di una tale
grazia. Prima si trova Maiori, costruita nel
nono secolo da Sicardo di Salerno. La sua
marina è circoscritta da una spiaggia
stretta, bianchissima con sabbia molto fine.
Sopra prendono giardini dalle montagne a
terrazze. Attraenti le graziose case bianche
ognuna delle quali sembra una villetta. In
alto si eleva un castello. I sentieri e le
strade più tranquilli si perdono nella
montagna, dalla quale scaturisce un’allegra
cascata. Lo spirito viene afferrato da
questa solitudine incantata ed in ogni
viandante almeno un’estate. Ed il nordico in
particolare sente intensamente questa “figiakasta”.
Eravamo seduti in una graziosa osteria,
decorata da dipinti, vicino al mare, in
compagnia di bicchieri di vino e di un bel
piatto di fichi scuri e di arance dorate.
L’aria calda, il respiro del mare ed il
profumo dei fiori ci rendevano sonnolenti.
Anche Minori
ci ristorammo in un caffè. Le case qui sono
minuscole e graziose come quelle pompeiane.
La stanzetta era così piccola che quattro
persone non vi potevano prender posto
comodamente. Al banco c’era l’oste il quale
con uno scacciamosche in mano cacciava via
le mosche e ci sventolava, raccontandoci nel
dialetto del luogo una infinità di storie,
specialmente sui maccheroni che vengono
fabbricati qui come su tutta la costa
amalfitana ed approvvigionano tutto il Regno
di Napoli.
Sotto il
calore del sole pomeridiano scalammo le
montagne fino a Minori, girammo intorno ad
un promontorio e vedemmo davanti a noi
Atrani, che è separata da Amalfi da una
gigantesca roccia. La posizione di Atrani
sorprende per la sua grandiosità. Sulla
costa più alta, le cui rocce giungono fino
alle stelle, la città si ammassa come una
piramide verso la montagna. L’architettura
pittoresca delle case con le loro logge
rende l’aspetto ancora più singolare, ed
abbagliante è il bianco dei muri sullo
sfondo nerastro delle rocce. Queste, ai lati
del paese, si dividono in due gruppi,
attraverso i quali si stende una verde
vallata. Le rocce sono incoronate da torri e
da castelli. In alto, tra le fessure del
pietrame, cresce la palma a ventaglio. Tutt’intorno,
sulle ripide pareti dei monti si trovano
altre località, verso le quali si sale con
grandi sforzi, situate come sono in un
isolamento roccioso assai selvaggio; però
anche a questa altezza son ancora circondate
da viti e dall’ombra dei castagneti. Molto
al di sopra di Atrani si trovano Pontone,
Minuto, Scala e Ravello.
Fra queste
località Ravello si distingue per suoi
ricordi saraceni. Si sale da Atrani su uno
scomodo sentiero, attraverso le gallerie
coperte e si prosegue su un cammino
romanticissimo attraverso un pietrame
roccioso, sempre fra vigneti, carrubi e
castagni. Più si sale e più incantevole
diventa la vista sul mare. Al di là delle
rocce color marrone si guarda nelle onde
azzurre che sembrano penetrare fra le
bizzarre cime montuose di Pontone. Sotto i
nostri piedi si stendono pendii verdeggianti
disseminati dalle abitazioni di uomini
pacifici, che oramai nessun Saraceno turba
più.
Arrivammo al
convento abbandonato delle Clarisse e subito
notammo l’architettura moresca della cupola.
Ci dirigemmo poi verso Villa Cimbrone, la
casa di campagna di un ricco napoletano,
celata da oleandri e rose situata in un
punto ardito della roccia a picco sul mare.
È una villa incomparabile e rimasi
soprattutto entusiasto per il suo pergolato
che percorre l’intero giardino. Il tetto
retto da pilastri bianchi avvolti nel
fogliame delle viti era colmo di uva matura;
nel giardino ben coltivato crescevano i più
bei fiori immaginabili, provenienti da
innumerevoli piante del Sud, nel pieno
splendore del sole di luglio. Sull’orlo
delle rocce vi era un belvedere, circondato
da orribili figure marmoree, il cui effetto
però da lontano era abbastanza buono. Si
scorgeva il mare scintillante steso
all’infinito, le coste della Calabria con le
loro sommità montane argentee, la potente e
saliente punta di Conca e lo scuro Capo
d’Orso vicino a Maiori. Tutti questi monti
sono stupendi nelle loro forme slanciate,
simili a statue di bronzo. Sì, è un panorama
di un valore incomparabile; ed in questo
luogo è meglio ammirare e tacere che
parlare. Quando si guarda da quel giardino
di Armida pieno di rose e ortensie in quel
mare di sirene che sembra essere un secondo
cielo soffuso di luce, allora nasce il
desiderio di poter volare. Credo che Dedalo
ed Icaro si trovassero in una beata calma
serale, in un simile promontorio roccioso a
picco sul mare di Creta, quando furono
avvinti dal desiderio di volare; allora si
alzarono e si fecero le ali di cigno.
Continuammo la
salita verso il chiostro di Sant’Antonio.
Anche questo è moresco, con piccole colonne
decorative disposte in archi spezzati.
Entrammo poi nell’antica Ravello e ad un
tratto, in mezzo a queste rocce selvagge, ci
trovammo dinnanzi ad una città moresca che
con le sue torri e case dai fantastici
arabeschi offriva un aspetto completamente
arabo. Essa è costruita in tufo nero,
isolata ed abbandonata nel deserto verdastro
della montagna. Qui il mondo è scomparso;
non vi è niente altro che alberi e rocce. Al
di sotto di noi, a distanza irreale, il mare
purpureo. Nei giardini, torri alte e nere,
bizzarre architetture di stile moresco con
arabeschi semidistrutti sopra le finestre e
sopra le graziose, piccole colonne negli
archi.
Sul mercato,
accanto alla chiesa, si eleva una antica
casa moresca, anch’essa di tufo nero ed
adorna di arabeschi. Due singolari colonne
la chiudono agli angoli. Il tetto posa su un
cornicione a volte. Questo edificio porta il
nome di “Teatro moresco”. Era senza dubbio
uno dei palazzi degli antichi signori di
Ravello. Perché questa città oggi deserta
era un tempo una fiorente colonia di Amalfi
e contava trentaseimila abitanti. Ricche
famiglie trapiantarono qui i lusso che
doveva scaturire dall’unione con l’Oriente e
con i Saraceni di Sicilia. Particolarmente
potenti erano gli Afflitti, i Rogadei, i
Castaldi e soprattutto i Rufolo. Quei
signori si costruirono splendidi palazzi in
giardini meravigliosi, con fontane
zampillanti in cui nuotavano pesci; tutto
era costruito in puro stile arabo e furono
architetti arabi ad eseguire quelle
costruzioni.
Avvenne così
che Ravello fu una delle prime città
d’Italia meridionale influenzate
dall’architettura puramente moresca ed è
oggi una delle poche che ne abbia conservato
i resti. Trovai, nella piccola Ravello,
quasi tante costruzioni moresche quante a
Palermo stessa, i cui castelli di Cuba e
Zisa sono scomparsi lasciando solo le mura
di cinta. Perciò il palazzo Rufolo a Ravello
è una vera e propria miniera di architettura
saracena di quell’epoca e di quelle regioni.
Si trova in un giardino ed appartiene da tre
anni all’inglese Sir Francis Nevile Reid,
che lo fece liberare dalle macerie. |
Questo bel
palazzo può essere chiamato una piccola
Alhambra; è una costruzione di più trecento
stanze disposte in tre piani, tutti sorretti
da colonne in stile moresco. Le sale sono
riccamente adornate con arabeschi e reca una
forte impronta di caratteristiche
siculo-arabe. Dovevano essere di uno
splendore favoloso. Accanto troviamo ancora
una rotonda di stile saraceno in mezzo ad un
giardino, un avanzo di mura ed una torre
quadrata. Archi e logge semisepolte lasciano
supporre che esistessero anche altri
impianti di bagni e cortili che dovevano
aver formato un insieme ben chiuso e, allo
stesso tempo, somigliante ad un castello. Da
tutto questo ci si può fare una idea della
ricchezza accumulatosi in quei tempi presso
quelle famiglie.
Mentre stavo
nel giardino Rufolo assistetti ad un
meraviglioso fenomeno di luce sul mare. Il
sole tramontava. I monti sopra Paestum e
Salerno impallidivano già per prendere un
vellutato colore verdescuro. Sopra Paestum,
molto in alto, una immensa nuvola bianca
tutta accesa dall’ardore di fuoco del
tramonto somigliava ad una rosa
incandescente che si estendeva sempre di più
nel cielo; e proiettava la sua luce sopra il
mare, incendiando tutto il vasto golfo di
Salerno, indorandosi poco a poco,
attraversata di strisce di color verde
pallido, passando dal viola, al giallastro,
ed al grigio ed infine spegnendosi.
Potrei
raccontare ancora molte cose su Ravello,
specialmente sull’antico Duomo che Niccolò
Rufolo fece costruire una cattedra dai
singolari mosaici ed antiche porte in bronzo
e dove, in una ampolla, il sangue di san
Pantaleone diventa liquido come quello di
san Gennaro; ma ora basta, perché non si
deve né vedere né raccontar troppo. |