Amalfi,8
maggio 1812
Ma eccoci in
una delle fucine della civiltà italiana,
vale a dire europea, del Medioevo; la
lettura dell’opera del Sismondi mi ha
provocato il desiderio di visitare la
repubblica di Amalfi. La mia curiosità era
stata vivamente eccitata da tutto quello che
racconta della potenza e delle ricchezze di
questo stato, oggi pressoché dimenticato
anche dallo stesso sovrano. Amalfi ebbe
l’onore di disputare alla Francia
l’invenzione della bussola. Tutto ciò che
resta ora dei suoi giorni di gloria, è la
bellezza di uno dei luoghi più straordinari
che una persona possa vedere, perfino in
Italia. L’immaginazione non riuscirà mai a
rappresentarsi i quadri che qui da ogni
parte colpiscono gli sguardi. Abbiamo
lasciato Salerno alle cinque del mattino: il
clima era mite e il cielo puro, ci siamo
imbarcati al porto di Vietri. I villaggi di
Raito, Benincasa e molti dei casolari
costruiti, alcuni sulle punte delle rocce
altri ai bordi del mare, furono le prime
cose che attirarono la nostra attenzione.
Quale dipinto diventa il golfo di Salerno al
levarsi del sole. Non mi stanco di ammirare
queste eleganti gallerie, formate da
pergolati di vigne, che sostengono un lungo
seguito di colonne. Le pietre di questi
portici sono di un bianco squillante, e
contrastano meravigliosamente con la verzura
dei tralci di vite. Nell’attraversare un
mare di un blu colore dello zaffiro, scorgo
delle rocce tinte di brillanti sfumature, e
gli angoli di queste fortezze naturali
dell’Italia vengono addolciti dalla magia
della luce! Il sole giocava in mille maniere
su queste varietà, e la bellezza delle
piante alle quali i diversi piani delle
montagne servano per così dire da terrazze,
completavano questi quadri eleganti e nello
stesso modo straordinari. Si direbbe che
l’ulivo, il carrubo, il fico d’India, l’aloe
crescessero sospesi ai bordi dei precipizi
che sembravano sfidare, solo per essere
ammirati dai marinai spaventati dalla
profondità dei dirupi al di sopra dei quali
le piante nascono e muoiono al sicuro. Noi
paragoniamo i loro fiori inaccessibili ai
fuochi che s’illuminano il giorno del
giudizio, sulle punte più aguzze dei più
alti edifici: sono i fari della primavera;
la vegetazione italiana è una festa che la
natura non cessa di donare a se stessa. La
città di Salerno si eleva su un anfiteatro
fino ad una costa fertile che domina il mare
il quale forma un golfo di un ovale regolare
ai piedi di un grazioso ruscello, la piana
di Paestum, che da una parte si perde al
livello del mare e dall’altra si estende
fino alle montagne del Cilento e capo
Poseidonia, presso l’isola di Leucosia, di
là della quale noi andremo nei prossimi
giorni a visitare la tomba di Palinuro.
Questo è il quadro che noi abbiamo avuto il
piacere di contemplare, durante le due ore
del nostro allontanamento da Vietri. Ben
presto la scena cambia, doppiammo Capo
d’Orso, famoso per i molti naufraghi, e
scorgiamo Amalfi o piuttosto Atrani, che n’è
separata da una roccia avanzata nel mare,
come una retroscena di teatro. Questo
piccolo lembo di terra è limitato da una
parte dal Mediterraneo, e dall’altra da
montagne pressoché inaccessibili. È un mondo
a parte; la vita se n’è andata con la
libertà! La famosa città di Amalfi è
infossata tra due pareti di rocce che si
elevano pressoché a picco; una montagna a
forma di piramide, coronata da una torre
gotica, è come sospesa alle spalle di questo
singolare ammasso di case, o, per meglio
dire, la città e la costa ne fanno un tutto
unico; poiché gli edifici di cui il mare
bagna i muri cominciano il precipizio che la
montagna continua ben al di sopra della
vetta!
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Amalfi, tutta
intera, città e territorio, non è che un
picco partito dal mare per salire al cielo,
per terminare con le rocce che s’innalzano a
perdita d’occhio!
Non esiste la riva; la montagna e la città
toccano i flutti. Questa repubblica era un
labirinto di archi, di portici, di rampe
poste una sull’altra, e l’aspetto del paese
è così bizzarro che si sarebbe meno sorpresi
sentendolo chiamare Cina anziché Italia. In
questi paesaggi incomprensibili solo il mare
è orizzontale, e tutto ciò che è terraferma
è quasi perpendicolare.
La natura si distingue appena dalle opere
dell’uomo; è un’architettura in grande. Lo
splendore del cielo attenua il terrore che
producono le forme orribili delle montagna.
L’eleganza, perlomeno esteriore, delle
abitazioni, contribuisce ugualmente a
rassicurare il viaggiatore spaventato dalle
masse di rocce che vede sospese sopra la
città, e che sostengono a delle altezze
incredibili degli edifici così grandi e
pittoreschi. Dal fondo delle piccole strade
strette e tristi, si scorgono, alzando la
testa, dei castelli moreschi, dei forti,
delle chiese gotiche, e si stenta appena a
comprendere che cosa li tiene come sospesi
nell’aria. Se si chiudono gli occhi per un
momento, si crede, riaprendoli, di
contemplare dei dipinti composti a piacere
da un pittore in delirio. I piccoli muri di
appoggio costruiti a terrazze fino alla
sommità delle montagne, allo scopo
d’impedire ai torrenti di consumare i
fianchi, formano così uno dei tratti
caratteristici di questa costa chiamata nel
paese la costa per eccellenza. Si vedono dei
burroni scavati dai temporali, che si
riempiono grazie alle cure dell’uomo, di
aranci, di mirti e di granati, di cui il
lusso dei fiori e della vegetazione fa
dimenticare l’asprezza del sole. Non dirò
niente sugli abitanti di Amalfi; non conosco
che la loro fisionomia. Quelli che ci hanno
accolto sulla spiaggia parlano sempre,
gesticolano sempre, sono dei figuri, non
dico briganti, sarebbe troppo comune, ma
sembrano cospiratori: alla fine sono degni
dell’aspetto del loro paese! Al nostro
arrivo, tutta la città si è riunita intorno
a noi; ci hanno spinto, ci hanno posto
domande: duecento persone mi guardavano
mentre scrivevo. È un grande onore!
Eboli, lo
stesso 8 maggio, alle nove di sera
Abbiamo
attraversato oggi un paese molto singolare,
se non vi fidate di me dovreste almeno aver
fiducia nel signor Catel, nostro compagno di
viaggio, che giudica la natura da pittore, e
che dice di non aver visto niente di più
affascinante della costa di Amalfi; in
effetti, questa contrada non somiglia a
nessun altra; è un paravento della Cina in
azione, o piuttosto un giardino delle fate.
È assolutamente necessario che voi andiate
ad Amalfi; ci si imbarca a Salerno o al
porto di Vietri, che è preferibile perché da
qui il percorso è più breve. È necessaria
una buona barca con sei rematori, perché da
queste parti il mare è spesso pericoloso. Ci
si fa condurre direttamente fino ad Amalfi,
non per vedere la chiesa stessa, ma per la
veduta che si gode prima di entrare; c’è un
paesaggio sorprendente che con i portici
della Cattedrale forma un affresco. Questa
chiesa è situata così in alto, che dal suo
sagrato l’occhio si immerge a volo d’uccello
sulla città, e il mare che si trova davanti
a voi sembra salire fino al cielo dove si va
a perdere.
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