Jean-Jacques
Bouchard (Parigi 1606-Roma 1641)
Jean-Jacques Bouchard (Parigi 1606-Roma
1641), di famiglia aristocratica, educato
nei migliori collegi religiosi di Francia,
era il tipo dell’avventuriero colto e del
libertino, piuttosto comune durante l’epoca
barocca, che conosceva l’arte del vivere
mettendosi al servizio di nobili signori e
praticando occasionalmente l’attività
letteraria. Si recò nel 1631 in Italia per
cercarvi fortuna e in virtù di
raccomandazioni divenne segretario della
corrispondenza del cardinale Barberini a
Roma, dove morì. Ha lasciato note dei suoi
viaggi, pubblicate però solo nel secolo
scorso.
Nel Voyage a
Naples sotto forma di diario e con il
nome d’Orestes, descrive l’esperienza
fatta durante il suo viaggio nel Sud. Si
recò due volte ad Amalfi: nel maggio e nel
settembre del 1632. Bouchard descrive una
vivacità, in prima persona, e inserisce nel
testo aneddoti ed elementi folcloristici.
Arte e scienza, politica e economia, storia
e leggende, lingua e usanze, abitudini e
costumi, egli vede tutto, nota tutto si
rende conto di tutto. Descrive le campagne
sconvolte dalle febbri e dalla cattiva
amministrazione, i villaggi abitati dai
serpenti, le strade dissestate dove non
viaggiano che folle impaurite dai ladri; le
città dove non si entra che con un biglietto
della salute per paura della peste; gli
alberghi dove si mangia senza forchetta né
cucchiaio con un solo bicchiere per quattro
o cinque persone, e dove si dorme in
compagnia su letti incredibili in camere
senza mobilia. Umanista ed archeologo egli
controlla tutto sul suo cammino, Strabone e
Plinio. Ci informa sui costumi e i sistemi
degli Italiani e degli Spagnoli,
particolarmente sul coraggio degli uomini e
sulla virtù della donna, il tutto in una
lingua facile e sensata, sovente pittoresca
che ci fornisce le sensazioni di un profumo
primaverile. |
19 maggio
1632
Il 19 maggio,
giorno dell’Ascensione, Orestes, avendo
trovato la comodità di una barca che partiva
per Salerno, si imbarcò, dopo aver pattuito
il prezzo della traversata per sei carlini.
Passò le bocche di Capri che in quel momento
non erano molto pericolose, ma che lo
diventano quando ci si imbatte in una
straordinaria tempesta di mare. Il capo di
Massa per gli ulivi, i limoni, gli aranci e
le altre belle piante, che ornano tutto il
resto della costiera fino a Salerno è molto
delizioso, tanto che si ha la sensazione di
trovarsi in un paese incantato fatto per il
piacere delle fate.
Superato il
golfo di Capri, largo tre miglia, si
incontra punta Campanella che rassomiglia ad
una torre situata interamente sull’estremità
di capo Massa; poi viene Nerano dove c’è un
porto e alcune case; l’Isola degli Asini; i
Galli, che sono tre piccole isole dove ci
sono due torri; poi sulla costa s’incontrano
Vettica, Praiano, Furore e Conca, che è
chiamata così perché vi è un posto
denominato Capo di Conca, da cui ha inizio
un golfo a forma di conca o di conchiglia
proprio grazioso. A Conca si trovano
numerose case di villeggiatura che
appartengono a ricchi amalfitani, come le
residenze di Chiaia e Posillipo sono
occupate in prevalenza dai possidenti
napoletani.
A qualche
miglio da là giungesi ad Amalfi, dove
Orestes scese per vedere la città e il Duomo
così celebre per il corpo di Sant’Andrea che
sparge la manna la quale Orestes non poté
vedere, nel frattempo che il sacrestano gli
diceva che da un po’ di tempo ne sortiva
assai poca, e mostratagli una coppa argentea
sotto l’altare, dentro la quale disse che
stava la manna. Il corpo del santo è in un
reliquiario d’ argento situato sette piedi
sotto terra. La cappella è scavata nella
terra dietro l’altare maggiore tutto
rivestito in alto e in basso di intarsi
marmorei di diversi colori, molto preziosi.
La chiesa dell’arcivescovado è molto bella,
vasta, alta e rimarca la sua antichità, con
mosaici tanto in alto che sui pavimenti.
La città giace
sulla spiaggia, ed è pressoché deserta,
essendo che da tre o quattromila fuochi ch’
essa contava un giorno, non ne restavano più
di centocinquanta. Assai vicina è Atrani e,
sopra la montagna, Scala, vescovato; poi,
sulla montagna, Ravello; alla spiaggia
Minori, di poi Maiori. I marinai narrarono
una storia riguardo ai nomi di queste due
terre: Minori un tempo si chiamava Maiori,
dato che in verità era più grande, ma avendo
ucciso il suo vescovo, il papa la maledì,
privandola del vescovado, e volle che essa
si chiamasse Minori, e la più piccola Maiori.
Dopo alcuni anni, quelli di Minori andarono
a salutare un nuovo papa a Roma e offrendo a
lui alcuni loro cedri e altri agrumi, che
vengono più belli là che in tutti gli altri
luoghi d’Italia, ed essendovi un tal cedro
che era più grosso della più grossa zucca,
il papa vedendo quel bel frutto disse “ Sia
benedetta la terra che lo produce”; allora i
Minoresi lo pregarono siccome egli aveva già
benedetta la loro terra, di voler
restituirgli la sede vescovile; ciò che egli
fece. |
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Dopo si arriva
a Capo d’Orso che dista appena sei miglia da
capo Conca. Da Capo d’Orso comincia il golfo
di Salerno, e cominciano a scorgersi le
montagne della Calabria. Passato il capo si
incontra un porto chiamato la Marina d’Erchie,
Cetara, poi Vietri, dove si vede una piccola
spiaggia che porta oggi il nome del paese, e
si trovano numerosi mulini. Salerno dista
solo un miglio e mezzo.
Ecco la vera e
esatta corografia di questa costa, che
Orestes segnò dalla barca interrogando i
marinai su ogni luogo che superavano, e
correggendo la carta del Regno di Ligorio,
la quale contiene molte inesattezze. I
marinai cominciarono subito ad avere qualche
sospetto su Orestes, vedendolo così curioso
e diligente mentre annotava queste piccole
cose. Le trenta miglia che separano Capri da
Salerno furono fatte in undici ore, non
senza una gran paura dei pirati Turchi che
si videro per ben due volte.
settembre 1632
Furono ad
Amalfi, dove Orestes scoprì infine il
segreto della manna che esce dal corpo di
Sant’Andrea. Il reliquario d’argento, nel
quale è racchiuso il corpo, è in fondo ad
una specie di grotta o cripta di sette piedi
di profondità, che ha una piccola apertura o
sfiatatoio verso l’alto in mezzo alla sua
volta di circa un palmo di diametro. Questa
apertura è interamente chiusa da una piastra
d’argento fatto come piatto o scodella, in
mezzo alla quale c’è un piccolo cubo
dell’altezza di un dito o due e il cui foro
è molto piccolo. Questa piastra o piatto è
ricoperta da un’altra grande simile, ma
capovolta (che ha il fondo in alto), in
maniera che resta uno spazio vuoto tra
questi due piatti, ed è là che si forma la
manna, che non è altro che un’acqua chiara
che si trova di tanto in tanto sul fondo del
piatto, e che sale dal basso attraverso
questo tubetto: il sacrestano assicurò
Orestes che il reliquario stesso era tutto
madido e bagnato da quest’acqua.
Di là il
sacrestano condusse la compagnia a desinare
presso di lui dove li trattò magnificamente,
con candelabri, saliere e cucchiai d’
argento, cosa straordinaria in quel paese;
c’erano tra le altre cose molignane,
un frutto a forma di giovani zucche, ma di
colore rosso brunito: ha il gusto di funghi
ed è un frutto poco stimato e a Roma solo i
Giudei lo mangiano. Quelle del sacrestano
erano farcite di carne, formaggio, pasta,
spezie e ciò fu un banchettare eccellente.
In oltre c’era anche un piatto di
maccaroni di Minori, dove fanno i
maccheroni migliori d’Italia, ed essi erano
veramente eccellenti, e di gusto differente
dai normali. Dopo diede a ciascuno un buon
letto con baldacchino e coperte di seta. Al
mattino, alla partenza, offrì un bel paniere
di frutta con tutti i fiori e ornamenti
necessari e in più ad ognuno due grandi
ampolle d’acqua di fiori d’arancia e due
piccole d’acqua d’angelo che si fa per
eccellenza in quella città, in modo che
essendo tre nella compagnia, offrì dodici
ampolle. |